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domenica 11 giugno 2017

LE CENERI DI DANTE ALIGHIERI (O MEGLIO I RESTI)

Scusatemi ma questo è l'unico post di tutta la prossima settimana



Un articolo di Sergio Lotti nella Domenica del Corriere in data sconosciuta

La conservazione delle ceneri di Dante costituisce un vero mistero. Una parte si trovava in due buste gialle dentro un cassetto della Biblioteca Nazionale di Firenze. Viste per l'ultima volta nel 1929, sparirono successivamente. Sei secoli di litigi per il possesso dei resti dell'Alighieri diedero adito ad un continuo succedersi di colpi di scena.

L'ipotesi più avvilente è che un impiegato maniaco dell'ordine o una donna delle pulizie abbia gettato due vecchie buste gialle nel cestino della carta straccia. L'ipotesi più affascinante, invece, è che siano state rubate da qualcuno che sapeva bene quale era la loro importanza. Potrebbero anche essere state trascinate via dalle acque dell'Arno che sommerse Firenze nel 1966 (Faccio presente che anche Venezia ebbe in quell'anno grossi problemi. Personalmente mi sono ritrovato con l'acqua alta a livello dello stomaco). Oppure non sopravissero alla seconda guerra mondiale, quando i tedeschi trasformarono in alloggio per le loro truppe la Biblioteca  dove erano conservate le due buste sin dal 1865.
L'unica cosa sicura è che non si ha più notizie su di loro dopo il 1929, quando furono esposte nella sala dantesca della biblioteca fiorentina. Se il poeta, in vita, fu costretto ad errare per l'Italia di corte in corte, alle sue spoglie è toccato un destino anche peggiore : dopo sei secoli di contese, trasferimenti e manomissioni, parte di esse sono state disperse.
In verità non si tratta proprio di ceneri perché Dante non fu mai cremato, anche se non mancarono coloro che volevano darne alle fiamme il corpo fin da quando era vivo. E poco dopo la sua morte (settembre 1321), il cardinale Bertrando del Poggetto voleva ardere i suoi resti insieme al De monarchia, l'opera in cui il poeta sosteneva con vigore la tesi dell'autonomia dell'imperatore dal dominio papale: arma efficace nelle mani di Ludovico il Bavaro nella sua disputa con Giovanni XXII, che fece imbestialire Bertrando, appena arrivato a Bologna da Avignone per dare manforte al Papa contro i ghibellini. Grazie all'intervento di Ostasio da Polenta, signore di Ravenna, il cardinale si limitò a bruciare pubblicamente il libro e lasciò in pace le spoglie interrate a Ravenna. In pace, ma non in buona compagnia, perché il luogo in cui si trovavano era mal frequentato. "Il sepolcro, venerato di giorno, era diventato di notte il quartier generale delle passeggiatrici", come dice Cesare Marchi nella sua biografia di Dante. "Uno spettacolo indecente, tanto che qualcuno invocò provvedimenti affinché donne vagabonde non deturpassero il monumento di Dante con atti osceni".
I maggiori turbamenti a quelle spoglie, tuttavia, non li provocarono le donne di facili costumi, ma le risse tra fiorentini e ravennati. Il sommo poeta era appena spirato che i fiorentini cominciarono a pentirsi di averlo fatto morire in esilio e ne chiesero più volte i resti ottenendo sempre un rifiuto.
All'inizio del Cinquecento Ravenna entrò a far parte dello Stato Pontificio e divenne Papa Leone X, appartenente alla dinastia dei Medici, amico delle lettere e delle arti, oltre che, ovviamente, di Firenze. Era l'occasione che i fiorentini attendevano da quasi due secoli: inviarono subito una petizione al Papa, firmata nientemeno che da Michelangelo, il quale si impegnava a scolpire a Firenze un monumento a Dante assai più prestigioso del tempietto vicino alla chiesa di San Francesco, dove i ravennati l'avevano sepolto. Leone X non si fece pregare e autorizzò i messi fiorentini ad aprire l'arca che conteneva i resti del poeta.
Ma la trovarono vuota. I frati francescani, prevedendo quello che sarebbe accaduto, avevano trafugato le ossa del divino, usando una tecnica che precorreva le gesta dei "soliti ignoti". Siccome il sarcofago era appoggiato ad un muro del loro convento, vi praticarono un foro, portarono via le ossa, le rinchiusero in una cassetta di legno che nascosero nel convento. Non rivelarono mai il nascondiglio.
La cassetta rimase nel convento per quasi tre secoli e nessuno ne parlò più. Ma, quando arrivò Napoleone, i frati dovettero sgomberare il luogo ed invece di rimettere le ossa dentro il loculo, nascosero la cassetta nel vicino cimitero accanto alla cappella Braccioforte. Intanto gente comune e grandi personaggi, da Byron a Vittorio Emanuele II, continuavano a rendere omaggio al poeta inchinandosi davanti alla sua tomba, convinti che le spoglie fossero ancora lì. Invece vi erano rimasti solo tre piccole falangi ed i resti della corona di alloro che l'ultimo protettore di Dante, Guido Novello da Polenta, signore di Ravenna, aveva voluto porgli sulla fronte.
Una notte del maggio 1865 il sagrestano custode della Confraternita della Mercede chiamato Grillo (nessuna allusione all'atualità odierna), mentre dormiva nella cappella Braccioforte, sognò un'ombra che passeggiava vicino al cimitero che gli diceva: "Io sono Dante". Poiché il Grillo aveva l'abitudine di alzare il gomito, quando raccontò il fatto, non fu creduto e neppure preso in considerazione. Alcuni giorni dopo, mentre si preparavano le festività per il sesto centenario della nascita del poeta, l'operaio Pio Feletti, che stava abbattendo un muro vicino al luogo dove si trovava il Grillo urtò con il piccone una cassetta di legno e sopra c'era scritto che conteneva le ossa di Dante, nascoste a suo tempo dal frate Antonio Santi.
Si gridò al miracolo, e Firenze, nel frattempo divenuta la capitale d'Italia, tornò alla carica. Il ministero della Pubblica Istruzione inviò a Ravenna l'archeologo Giovanni Gozzadini per controllare la situazione, ma i ravennati, temendo fosse venuto a portare via le spoglie del poeta, presero d'assedio l'albergo della Spada d'Oro, dove Gozzadini alloggiava, e lo costrinsero a ripartire.
Alla fine gli antropologi riuscirono a mettere ugualmente le mani sui resti di Dante e stabilirono che il poeta era alto 1 metro e 67 centimetri, aveva un cervello di considerevole dimensione, sebbene più piccolo di quello di Napoleone e che soffriva di artrite e di uricemia.
Qualcuno però approfittò di queste manipolazioni per portarsi via qualche frammento dei resti. I più accaniti saccheggiatori furono, naturalmente, i fiorentini. Uno di quelli che ottenne il bottino più grosso fu lo scultore Enrico Pazzi, autore del monumento a Dante in piazza Santa Croce a Firenze.
Costui le distribuì un po' dappertutto inviando le autenticate ceneri a Sovrani, Ministri, Municipi ecc. Ne diede anche un pizzico al Municipio di Firenze.
Ecco quindi come arrivarono a Firenze le due buste gialle, ora scomparse, con dentro una parte delle ceneri del poeta. Erano indirizzate dal Pazzi (nel 1899) al direttore della Biblioteca Nazionale, Desiderio Chilovi. Sulle buste erano scritte due frasi che attribuivano il contenuto ai resti del poeta. Il Chilovi le sigillò e le chiuse in un cassetto. Le tirò fuori solo nel 1929, come già detto, per esporle nella nuova biblioteca ancora in costruzione.
Un'altra piccola porzione dei resti del poeta, sembra sia stata donata dal Pazzi ad una misteriosa amante, dentro una spilla d'oro e cristallo uscita dal negozio di un gioielliere di Ponte Vecchio, Leopoldo Settepassi, il cui nome è inciso sul retro del gioiello assiema alla scritta "Polveri di Dante". In seguito l'oggetto fu regalato a Cesare d'Ancona, il quale la diede poi al fratello Alessandro, senatore del regno d'Italia ed oggi è custodita con cura in una sala appartata della biblioteca del Senato assieme al calamaio di bronzo e cristallo di Cavour ed alla penna d'oro con la quale Vittorio Emanuele III sottoscrisse il suo giuramento accedendo al trono.
Quanto alle due buste gialle ci si ritornò sopra da parte di tre funzionari della Biblioteca Nazionale, Antonio Giardullo, Luigi Fallani e Lucia Milana che le cercarono sulla base di un documento che le menzionava. Si sospetta che fossero sparite prima del trasferimento nella nuova sede quindi tra il '29 ed il '35.
Esiste la speranza di ritrovarle, anche se molto debole. Durante il trasferimento buona parte dei vecchi mobili fu disseminata in varie sedi: nell'Archivio di Stato di Firenze, nella biblioteca Marucelliana, in quella Laurenziana, in quella Filosofica, nelle biblioteche comunali di Bibbiene e di Poppi, nell'Accademia Etrusca di Cortona. Può darsi che le buste si trovino ancora in qualche cassetto di questi mobili. Ma non sarà facile trovarle, salvo non compaia di nuovo l'ombra del poeta a dare qualche utile indicazione.

NOTA PERSONALE : L'articolo riportato risale a molti anni fa e non mi risulta che nel frattempo siano state ritrovate le due buste gialle. Se qualcuno di voi ha notizie al riguardo mi piacerebbe conoscerle.

13 commenti:

  1. Caro Elio, se ho ben capito del ceneri di Dante Alighieri resta sempre un mistero di dove sono!
    Ciao e buona domenica con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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    1. Ebbene si, Tomaso, almeno per quantoriguarda le famose buste gialle. In ogni caso non si trovano in un solo posto ma sparse di qua e di là. Buona settimana.

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  2. Risposte
    1. Ciao Elisabete, ho ancora qualche problema ma mi faccio vivo da te al più presto. Un abbraccio.

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  3. Veramente una delle due buste gialle le ho io eh eh eh. Scherzo, sempre interessanti questi tuoi post.

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    Risposte
    1. Bene, non l'ho scritto ma la seconda sono io che ce l'ho. Se vuoi ci mettiamo d'accordo e diventiamo ricchi (hi,hi,hi). Grazie per il complimento ed alla prossima.

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  4. Storia interessante. Personalmente l’antica usanza di contendersi i resti di persone prese a calci in bocca quando erano vive, per erigere monumenti o chiese, magari per metterci un ossicino di dubbia provenienza, non la capisco. Assegnare il loro nome per esempio a una scuola non basta?
    Ciao buona settimana
    enrico

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    Risposte
    1. Enrico, posso dirti che sono della tua stessa opinione ma bisogna anche mettersi nell'ambito del periodo di cui si parla. Nessuna regola morale o no ed un grande desiderio di fare soldi. Mi dirai che oggi nulla è cambiato ma almeno cerchiamo di avere la memoria dei nostri grandi predecessori. In ogni caso Dante è ormai fuori causa perché di scuole, vie e monumenti ne ha a bizzeffe non solo in Italia. Buona settimana anche a te.

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  5. Bene , mi aggiungo anch'io . Dove abitavo prima (ora ci abita mia figlia) si
    chiama via Dante Alighieri perchè si dice che in questo antico "carrugio"
    passò L'Alighieri. Le case sono tutte di pietra (ora restaurate) con piccoli
    nascondigli . Chissà se Alighiri vi dormì e lasciò un segno del suo passaggio..
    Molto interessante ,come sempre , questo post . Non conoscevo la storia dei
    suoi resti ,a quanto leggo , sono un po sparsi , a parte le buste che avete
    voi due , spero al sicuro . Ha! Ha! Ha! Abbraccio Laura

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    1. Non avevo dubbi che anche dove vivi tu ci fosse qualcosa dedicata al poeta. Per il momento l'unica cosa certa sono le ceneri conservate nella biblioteca del Senato in una scatoletta d'oro contenente il gioiello con le ceneri e la scritta confermante che si tratta delle sue. Tutto il resto è in giro per l'Italia ma ben nascosto. Ricambio l'abbraccio.

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  6. Non avevo mai sentito questa storia sui resti di Dante, certo pensare che, nel caso, siano stati buttati nella spazzatura sarebbe davvero avvilente... speriamo in una verità diversa per quello che è poi il "padre" della nostra lingua italiana :)

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    1. Certo Maurizio "il dolce stil nuovo" è cominciato con lui e qualche altro, compreso Lorenzo de Medici. Per il momento ci accontentiamo delle ceneri che sono al Parlamento. Non è stato l'unico ad avere questi problemi e mi riservo un ulteriore post. Buona serata domenicale.

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  7. Buongiorno. Sono capitato per caso in questa pagina. Mi pare che non abbiate tenuto conto di un ritrovamento di cui si parlò nel 1999: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/07/20/dante-ritrovate-le-ceneri-perdute.html
    Stefano Drei - Faenza

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